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La Cassazione riconosce definitivamente la piena responsabilità della Regione per i danni causati dalla fauna selvatica

24/12/2020

Dopo anni di incertezza sull’argomento, e diverse pronunce fra loro contrastanti in merito all’individuazione del soggetto responsabile dei danni causati dagli animali selvatici, con l’ordinanza n. 13848 del 6 luglio 2020 finalmente la Terza Sezione della Corte di Cassazione chiarisce che è la Regione, e non la Provincia, a dover risarcire colui che ha subito danni da fauna, nello specifico derivanti dall’impatto avvenuto con una o più bestie durante la circolazione con veicolo.


La vicenda trae origine da un incidente stradale che ha visto coinvolto il sig. M, il quale, circolando con la propria automobile in territorio abruzzese, venne a scontrarsi con due cervi, con conseguenti danni per qualche migliaia di euro.


La responsabilità della Regione Abruzzo era stata riconosciuta sia in primo che in secondo grado, sulla base del presupposto che tale ente avrebbe dovuto approntare barriere di protezione oppure altri strumenti destinati ad evitare che le bestie circolassero liberamente causando danni ai veicoli.


Contro tali pronunce proponeva ricorso per Cassazione la Regione Abruzzo, sostenendo che la responsabilità del danno in questione avrebbe dovuto essere posta in capo alla Provincia interessata, in quanto titolare di funzioni amministrative ad essa delegate proprio per il controllo della fauna selvatica; tale assunto era già stato smentito nei gradi precedenti, sul presupposto che, sebbene formalmente destinataria di delega per tale funzione, di fatto alla Provincia non erano stati forniti (a causa di un’omissione della legge regionale 28 gennaio 2004 n. 10) i fondi, le risorse né tantomeno i poteri di natura decisionale necessari ad attuare il controllo delegatole, quindi la titolarità della responsabilità era, nella sostanza, sempre rimasta in capo alla Regione.


La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha operato una vera e propria revisione in tema, superando le problematiche di mera attribuibilità della responsabilità ad un ente anziché ad un altro attraverso un’interpretazione più coerente e soprattutto organica della materia, definitivamente fugando ogni dubbio circa l’individuazione del soggetto a cui deve rivolgersi, per il risarcimento, chi ha subìto un danno cagionato dalla fauna selvatica; con l’ordinanza qui esaminata la Suprema Corte ha operato altresì un breve, ma molto interessante, excursus storico concernente l’evoluzione della pronunce che si sono susseguite nel corso degli anni sull’argomento proposto, nonché una disamina temporalmente orientata della relativa legislazione.


Osserva la Cassazione, al principio dell’ordinanza citata, che c’è stato un lungo periodo della storia in cui l’argomento non si è nemmeno posto all’attenzione della giurisprudenza. Prima del 1977, infatti, la fauna selvatica era considerata res nullius, ossia “cosa di nessuno”, priva di proprietario; ne conseguiva che non poteva individuarsi un responsabile che fosse tenuto a risarcire i danni da essa cagionati. Il problema, dunque, non si poneva.


Dal 1977 si sono susseguiti diversi interventi normativi, giustificati dall’esigenza di assicurare la  tutela generale dellambiente e dellecosistema mediante, tra le altre cose, il controllo della fauna.  Dapprima la legge 27 dicembre 1977, n. 989 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), poi la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, e prima di questa la legge 8 giugno 1990, n. 142 la quale contiene alcune disposizioni riportate nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.


Dall’interpretazione sinergica di tali compendi di norme risulta che alla Regione sono demandate funzioni amministrative e attribuiti compiti di programmazione e coordinamento in tema di fauna selvatica, e ancora funzioni di orientamento, controllo e pianificazione faunisticovenatoria, mentre alle Province possono essere concesse “funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale” nel settore della “caccia e pesca nelle acque interne”.


La vera novità del quadro normativo introdotto dal 1977 in poi è stata il riconoscimento degli animali selvatici quale patrimonio indisponibile dello Stato, a tutela dell’interesse della comunità nazionale. Da res nullius che era, quindi, la fauna ebbe finalmente un proprietario, il quale esercita tuttora tale diritto di proprietà attraverso l’attività amministrativa e anche legislativa (in virtù della previsione costituzionale all’art. 117 in materia di caccia) delle Regioni, con mera possibilità, e non obbligo, di delega alle Province.


Chiamati a dirimere la questione, negli anni i Giudici di Cassazione hanno a volte ritenuto responsabile la Regione, in quanto titolare della competenza generale a legiferare ed amministrare in tema di gestione della fauna ed in generale del territorio, anche in caso di delega alla Provincia, in quanto la delega non fa venire meno i poteri superiori e generali; altre volte hanno attribuito la responsabilità all’ente di fatto gestore della situazione di volta in volta in esame, fosse esso la Provincia, l’Ente Parco, l’Associazione o la Federazione, in quanto affidatario dei poteri concreti derivanti da legge, delega della Regione o concessione. In tale secondo caso, tuttavia, la Suprema Corte ha perlopiù stabilito che la responsabilità deve conseguire ad un esame sull’effettività dei poteri delegati, in modo da escludere che l’ente delegato fosse solamente un nudus minister formalmente investito di poteri gestori ma di fatto privo di autonomia e potere di intervento.


La mancanza di univocità nell’indirizzo di Cassazione è derivata dalla storica impostazione che ha pressoché sempre considerato applicabile in fattispecie del genere, contrariamente a quanto indicato dalla dottrina, l’art. 2043 del codice civile, il che ha costantemente comportato la subordinazione della risarcibilità del danno alla dimostrazione, oltre che della sussistenza del danno, dell’entità dello stesso e del nesso causale, di un comportamento illecito, colposo o doloso, commissivo od omissivo, riconducibile all’operato di un determinato soggetto ente pubblico che andava quindi necessariamente individuato. Tale impostazione è stata confermata dalla Corte Costituzionale con ordinanza del 4 gennaio 2001, n. 4, con la quale è stato escluso che vi sia un trattamento non paritario tra privato, proprietario di un animale domestico o tenuto in cattività, e Pubblica Amministrazione proprietaria del patrimonio in cui è ricompresa anche la fauna selvatica.


La stessa Suprema Corte, nell’ordinanza in esame, riconosce di non aver contribuito a formare, nel corso degli anni, un orientamento univoco sul tema, a causa, appunto, dei contrasti emersi tra le varie pronunce, come sopra spiegato. Facendo discendere la risarcibilità dall’art. 2043 c.c. infatti, dinanzi ad ogni caso portato alla sua attenzione essa sentenziava circa l’individuazione del soggetto di volta in volta tenuto a subire le conseguenze, a livello risarcitorio, dei danni riscontrati in seguito ad incidenti in cui erano coinvolti animali selvatici, senza avere l’occasione, dunque, di elevarsi ad una visione generale della materia. Ciò ha reso senza dubbio urgente un “ripensamento dell’intera tematica”, secondo quanto letteralmente dichiarato.


Ciò si è reso necessario innanzitutto al fine di assicurare la corretta ed uniforme interpretazione della legge e, così, anche l’unità del diritto oggettivo nazionale, su cui la Corte, in virtù del regio decreto 30 gennaio 1942, n. 12, art. 65, è tenuta a vigilare; peraltro, sottolinea la S.C., l’assenza di un orientamento univoco deve essere risolta poiché trattasi di principi di rilievo costituzionale nonché rilevanti per il diritto dell’Unione Europea e per quanto stabilito nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale sancisce il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, raggiungibile, appunto, attraverso l’eliminazione delle situazioni di incertezza giurisprudenziale ed l’ottenimento della “stabilità” degli indirizzi.


La pronuncia citata, operando una risolutiva scelta in materia, riconosce quindi che la problematica è riconducibile all’esclusione aprioristica dell’applicabilità dell’art. 2052 del codice civile alla risarcibilità dei danni provocati dagli animali selvatici.


Per lungo tempo tale norma non è stata considerata applicabile in quanto ritenuta riferibile solo alle casistiche di danno causato da animale domestico. Nel dettato di tale norma, infatti, vi è il riferimento alla violazione di un dovere di “custodia” gravante sul proprietario o da chi lo utilizza per trarne una utilità patrimoniale o affettiva, il che ha sempre condotto ad escludere che tale dovere potesse riferirsi agli animali selvatici, la cui custodia, letteralmente intesa, è di fatto impossibile.


A ben guardare, tuttavia, l’art. 2052 c.c. non fa alcuna espressa discriminazione tra animali domestici e selvatici, ma menziona solo quelli suscettibili di proprietà od utilizzazione (patrimoniale o affettiva); inoltre, lo stesso tenore letterale di tale norma non subordina la risarcibilità del danno all’effettiva custodia della bestia, poiché la riconosce anche qualora l’animale sia fuggito o smarrito.


In definitiva, la norma in oggetto individua un criterio oggettivo di attribuibilità della responsabilità per danno di animale selvatico gravante su chi, proprietario o utilizzatore, ricava una utilitas dallo stesso, in virtù del fatto che chi trae beneficio dall’animale è anche tenuto a subire le relative conseguenze negative in base al principio ubi commoda ibi et incommoda.


In definitiva, gli Ermellini concludono tale ragionamento stabilendo che, dato che la Regione deve ritenersi proprietaria a pieno titolo della fauna selvatica, essendo essa parte del patrimonio indisponibile dello Stato ai fini della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema, come detto sopra), il quale esercita tale diritto attribuendo proprio alle Regioni la competenza generale a legiferare ed amministrare in tema di gestione della fauna ed in generale del territorio, allora è proprio alle Regioni che va imputata la responsabilità per i danni cagionati dagli animali non domestici ai sensi dell’art. 2052 del codice civile.


Da tale attribuzione di responsabilità in base alla norma citata derivano le conseguenze tipiche in tema di onere della prova. In particolare il guidatore è onerato di provare la dinamica del sinistro e il nesso causale: in altre parole, egli dovrà dimostrare che il danno cagionato alla sua autovettura o alla sua persona è riconducibile al comportamento dell’animale e non ad altri fattori esterni. In più egli dovrà allegare la prova relativa al fatto che l’animale che ha causato il danno rientra tra le specie elencate dalla Legge n. 157 del 1992, la quale indica le categorie oggetto di tutela da parte dello Stato (e, di conseguenza, di proprietà della Regione), o che, comunque, la bestia sia effettivamente selvatica e rientri così nel patrimonio indisponibile dello Stato. A tal fine non sarà ritenuto sufficiente allegare la semplice dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata, dovendosi fornire la prova dell’impatto, e dovendosi altresì dimostrare, anche ai sensi dell’art. 2054, comma 1, del codice civile (applicabile, per giurisprudenza costante, a tutte le fattispecie di danno da circolazione di veicoli), di aver adottato tutti gli opportuni comportamenti atti ad evitare l’incidente: di fatto, in altre parole, il danneggiato dovrà dimostrare di aver guidato con le opportune cautele.


Alla Regione è concessa, quanto a prova liberatoria, la dimostrazione del caso fortuito, che però si rivela particolarmente difficoltosa. Per poter escludere la propria responsabilità, infatti, la Regione dovrà dimostrare che il comportamento dell’animale si è posto totalmente al di fuori di ogni possibile controllo, anche laddove siano state apposte barriere e posizionati strumenti di contenimento della fauna selvatica: che la condotta della bestia si sia tradotta, cioè, in una causa “autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile” del danno. Non si dimentichi, infatti, che l’adozione di adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna sono necessarie, prima di tutto, ai fini della protezione e della tutela dell’incolumità dei privati, il che conduce a ritenere, anche in base al principio contenuto nell’art. 2051 del codice civile, che sull’ente pubblico gravi un dovere di condotta finalizzato alla manutenzione dei beni pubblici e all’adozione di misure di protezione degli utenti, tali da poter evitare agli stessi ogni danno.


Resta pacifica la possibilità di rivalsa della Regione sull’ente effettivamente delegato alla gestione della fauna selvatica, Provincia o altro soggetto che sia, individuato in base al trasferimento o alla delega di funzioni allo stesso ed all’effettivo esercizio di tali funzioni.



Avv. Giulia Dau